“Trai la felicità dal tuo lavoro o potresti non sapere mai cosa è la felicità.
(Helbert Green Hubbart)

So bene che oggigiorno il momento storico è abbastanza complesso, e per questo le persone desiderano maggior sicurezza.

Con che cosa si realizza la sicurezza?

Tutto parte dal nostro lavoro, che ha un valore che non si misura con il successo, il profitto, la carriera, il potere; si misura con il tuo cuore.

Il cuore che si esprime e rischia, per trasformare la realtà in una dimora più corrispondente alle sue esigenze, una dimora dove la bellezza è di casa.

In momenti come questi chiamati “crisi finanziaria” (ma che in fondo è una crisi dell’umano, una crisi di un’umanità smarrita) si è creato il fantasma dell’uomo economico che oscurava sempre più l’uomo reale.
Si sta dimenticando l’uomo vivente, che è quello che dobbiamo esaltare: l’uomo che desidera, che crea, che lavora, che sbaglia e che si riprende.

Così si è anche smarrito il senso del lavoro, dell’impegno umano e si è passati all’illusione che il profitto e la finanza si auto producano. Ma questa scorciatoia, proposta e difesa da illuminati economisti, si è rivelata un vicolo cieco.

Le persone devono riscoprire la strada maestra, forse faticosa, forse da ricostruire, forse piena di grandi salite, ma giusta e adeguata all’uomo. Una strada che permetta all’uomo di vivere ogni gesto con una dignità infinita.

Julian Carròn, alla domanda sul tema del lavoro “Qual’è il significato del lavoro” molti anni fa rispose:

Il lavoro può diventare un’esaltazione o una condanna, perché ognuno vive il lavoro come vive se stesso, essendo il lavoro un’espressione di sé. Nel lavoro capita quello che capita nella vita, soprattutto quando uno si concepisce in un certo modo. Infatti se uno parte solo da se stesso, tutti avremmo momenti di esaltazione o depressione. Questo mostra il paradosso dell’uomo: la sua grandezza, per cui può aspirare e realizzare delle cose enormi e potenti, insieme alla sua piccolezza, che lo rende più consapevole della sua indigenza abissale. L’uomo che si concepisce da solo, autonomo, senza legami, dipende quasi inesorabilmente da questi cicli di esaltazione o depressione, momenti in cui tocca il cielo con le dita e si crede Dio, e momenti in cui scende nell’abisso e si considera un nulla.

Come si può vivere quindi il lavoro da uomo libero, senza essere schiavo delle circostanze?

Non dipende dal tipo di lavoro che si fa, ne dalle sue condizioni, ma dal grado di umanità e dal fatto che devi essere Signore e Padrone della tua giornata. Se resti inerte e attendi lo scorrere del tempo, rimani schiavo e ti consumi senza neanche accorgerti.

Esiste pertanto un’utilità del vivere e del lavoro, l’utilità di quello che uno fa è indipendente da ciò che uno fa, ma è invece legata alla coscienza con cui uno fa, e questa è libertà. Se il valore di un’azione sta nelle circostanze dell’azione, allora non c’è più libertà perché noi dipendiamo dal caso. Invece è nella coscienza di quello che si fa che uno lo vive in modo libero.

Allora qual’è il significato del lavoro?

Capire il senso di un’azione che faccio vuol dire cogliere il nesso tra il gesto, enorme o banale, che compio e il destino, il compimento della vita, la pienezza dell’io.

Questo implica una adeguata concezione di sé. L’uomo è fatto, è costituito da un desiderio dell’infinito, pertanto il lavoro è l’espressione del nostro essere e il nostro essere si chiama cuore, fatto di coraggio, tenacia, scaltrezza, fatica, è sete di verità e felicità.

📷 di Saro Di Bartolo